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Negli ultimi 40 anni e fino a pochi anni fa, ad eccezione di particolari periodi, l’andamento dei prezzi del grano era di facile intuizione.La raccolta coincideva sempre con i prezzi più bassi di tutto l’anno e man mano che ci si avvicinava al periodo invernale e primaverile, gli stessi aumentavano di modesta entità, tali da ricoprire gli oneri relativi ad interessi, spese di magazzinaggio etc…
Le speculazioni erano di numero limitato, sia per la bassa volatilità delle quotazioni, tenute a freno dalle politiche comunitarie, sia dalle basse remunerazioni dei capitali investiti, sia perché coinvolgevano soltanto un numero ridotto di operatori del settore.
In queste condizioni vigeva un tacito consenso tra produttore-trasformatore-utilizzatore.
Quest’ultimo effettuava solitamente due contratti semestrali di farine l’anno, l’uno coincidente con il periodo della raccolta, l’altro a partire dall’inizio del nuovo anno fino al nuovo raccolto, riconoscendo una maggiorazione di prezzo che andava a ricoprire le spese prima citate.
In questo lungo lasso di tempo non sono però mancati periodi particolari, più o meno lunghi, coincidenti con l’esatto contrario di quanto sopra detto ed in genere più verosimili alla realtà che viviamo oggi.
Il 1964 segnò la data della libertà del libero commercio, rimanendo solo in essere i prelievi alle importazioni e le restituzioni alle esportazioni.
Lo stesso anno coincise anche con una bassa produzione di grano nazionale, così, la Francia, per la prima volta, diventò la maggior esportatrice di grano in Italia.In quel periodo tra la fine degli anni 50 e gli inizi degli anni 70 le oscillazioni delle quotazioni del grano erano molto limitate, andando da un minimo di Lire/Q.le 6243 ad un massimo di Lire/Q.le 7625.
Il 1972 segnò un’altra data storica e i fatti accaduti condizionarono notevolmente i successivi periodi.Durante quell’anno, in Russia, si ebbe una bassissima produzione di grano, che determinò l’acquisto, da USA, Canada, Australia ed Argentina, di una notevole quantità di grano, pari a 24 milioni di tonnellate che, all’epoca, rappresentava una quantità senza precedenti.
Tutti i mercati reagirono, innescando fenomeni speculativi che durarono per alcuni anni.
Anche l’Italia subì l’effetto “URSS”e il prezzo aumentò da Lire/Q.le 7300 a 10300.
Negli anni successivi diminuì l’attività speculativa, anche a causa delle politiche comunitarie che tendevano a difendere i prezzi interni ostacolando la concorrenza di Peasi extraeuropei, facilitando così le esportazioni di Paesi come la Francia, Inghilterra e Germania.
Questa impostazione della politica comunitaria rimase per lungo tempo e caratterizzò il periodo degli anni 80 e 90, non senza creare perdite nei bilanci della comunità europea a causa di un notevole aumento delle scorte pubbliche a costi crescenti.
Parallelamente i prezzi del grano aumentarono progressivamente di pari passo con l’inflazione, fino a raggiungere livelli di Lire /Q.le 30-35000 rimanendo tali fino alle soglie degli anni 2000.
I primi anni del nuovo millennio, caratterizzati dall’introduzione della moneta unica, non riservarono al grano piacevoli sorprese.
Ad eccezione dell’annata 2003-2004, dove la siccità in Europa ebbe un peso rilevante sulle quotazioni, queste ultime, in un periodo di forti aumenti dei costi di produzione, arrivarono a sfiorare livelli anche al di sotto di euro/ton 130, mettendo a rischio la convenienza economica delle coltivazioni.
Da qui è storia dei nostri giorni. Le basse scorte, il progressivo aumento dei consumi a livello mondiale, i biocarburanti, le basse produttività determinate da eventi metereologici sfavorevoli, determinarono un’inversione di tendenza che culminò su tutte le Borse mondiali in quotazioni da records storici.
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